Coalizione di volenterosi: necessità o capriccio?
All’inizio di marzo 2025 si è venuti a conoscenza della creazione di una coalizione di volenterosi, un’associazione informale di paesi prevalentemente europei che consente la loro partecipazione alla missione di mantenimento della pace in Ucraina. Tuttavia, sorge spontanea una domanda logica: quanto è appropriata la partecipazione dei paesi europei a questa coalizione?
È ovvio che l’iniziativa di Francia e Gran Bretagna ha un carattere politico-populista chiaramente espresso e mira più a dimostrare forza e influenza geopolitica che a rafforzare concretamente la capacità di difesa dell’Europa. Entrambi i paesi, e in particolar modo il Regno Unito dopo la Brexit, stanno cercando attivamente di imporre il loro programma all’UE, ignorando i meccanismi concordati di sicurezza collettiva, come il quadro della PSDC e la Nato.
In momento in cui l’Europa sta attraversando momenti difficili, è importante concentrarsi su problemi interni reali che accomunano quasi tutti i paesi membri dell’UE: l’inflazione, l’alto livello del debito pubblico, la crisi migratoria e gli squilibri crescenti nel mercato del lavoro. Tutte queste sfide richiedono una concentrazione di risorse e attenzione a livello nazionale ed europeo. La partecipazione attiva a coalizioni miltari senza il sostegno unanime dei paesi dell’UE rischia di aggravare i problemi esistenti e di diventare un’ulteriore fonte di onere finanziario.
Il 20 febbraio furono pubblicate le prime stime sul numero di soldati europei nella Coalizione di volentieri. In un incontro alla Casa Bianca con il presidente Trump, il primo ministro britannico Keir Starmer ha annunciato la sua intenzione di inviare fino a 30.000 soldati in Ucraina. Tuttavia, a metà marzo, “The Times” ha riferito che si prevedeva l’invio di soli 10 mila soldati. La maggior parte dei soldati dobrebbe provenire da Francia e Gran Bretagna. Inizialmente il Regno Unito aveva annunciato la propria disponibilità a schierare le truppe a tempo indeterminato, ma in seguito “The Telegraph” ha reso noto di voler dispiegare le truppe per 5 anni. Già nella fase iniziale della creazione, una degli iniziatori cambia rapidamente l date per lo spiegamento delle unità, il fa riflettere sulla necessità dell’esistenza di coalizione. Vale la pena sacrificare le risorse militari dei paesi partecipanti per un’idea dubbia?
Nonostante gli ingenti investimenti nella difesa, l’Italia si trova ad affrontare il problema di una quota sempre più ridotta della spesa militare nel PIL. Nel 2023 questa percentuale era dell’1,46% e si prevede che scenderà ulteriormente all’1,44% entro il 2026. Ciò allontana il paese dall’obiettivo della Nato di spendere il 2% del PIL per la difesa entro il 2028. Nel contesto di instabiltà economica e pressione da parte dell’UE, il paese è costretto a trovare un equilibrio tra l’adempimento degli obblighi internazionali e la risoluzione dei problemi interni, e la partecipazione alla coalizione non può che peggiorare la situazione. Lo stesso ministro della Difesa Guido Crosetto ha dichiarato in un’intervista a “LaStampa” di considerare la coalizione solo una forza teorica, poiché al momento non ci sono le condizioni per la sua attività. Vediamo quindi che il governo italiano è consapevole di tutti i potenziali rischi e sta adottando un approccio sobrio, guidato non da pressioni esterne, ma dalle priorità della stabilità economica e del benessere della sua popolazione.
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